Presentazione
Ci sono tre parole, gioia, serenità, libertà, che fanno da filo conduttore, al percorso artistico di Anna Branciari, al “Racconto variopinto” della sua vita di donna e di artista, intimamente unite e speculari.
Gioia, quel sentimento nutrito di stupori, divertimento, curiosità, incanti che fa vibrare le corde dell’anima e della mente, irradia una luce che contagia e alleggerisce la ruvida realtà di ogni giorno. Contribuisce a rendere felici.
Serenità, occhi che guardano con benevolenza e accarezzano, accolgono con una disponibilità ad amare che è condivisione affettuosa del destino umano, consapevolezza dei limiti e delle fragilità che accomunano nella precarietà dell’esistenza individuale e collettiva.
Libertà, il coraggio di rimanere fedeli ai propri sentimenti, scelte, progetti, sogni. Di non lasciarsi rinchiudere in schemi rigidi, di non accettare dipendenze che mortificano, ma di seguire en plein air gli impulsi che salgono dalla parte più profonda e ricca di noi stessi, nascosta sotto le macerie della vita, che Etty Hillesum chiamava “Dio” .
Tre parole che sono nate e cresciute con Anna in quella terra marchigiana, dove abita “la grande bellezza”, nel morbido profilo ondoso delle colline, nell’avvolgente armonia degli antichi borghi, nella laboriosità tenace di generazioni che hanno inventato e celebrato la vita con eleganza innata. Una bellezza che ha plasmato i suoi occhi, configurato e dato spessore ai suoi pensieri, orientato l’attività artistica, anche quando si è allontanata per raggiungere la rocciosità, aspra ed essenziale, delle montagne piemontesi.
La sua terra. La Marca di Gentile da Fabriano e del giovane Raffaello, sulla quale “si è posata più leggera la mano di Dio”, ha scritto Giorgio Calcagno, marchigiano di adozione, ricordando di Anna Branciari “la levità del sorriso che si rispecchia nella sua pittura”. Quella terra che l’ha iniziata, fin da bambina, all’arte per poi attrarla nel cerchio magico del futurismo dirompente del maestro Ivo Pannaggi.
Una scelta di campo, quest’ultima, che si ispira al movimento, all’energia, alla tensione di Boccioni, anche se la strada percorsa dalla giovane pittrice, proseguita nella maturità, ha un’impronta tutta sua, personalissima, sospesa fra sogno e realtà, nel tentativo di avvicinarsi, con coraggiosa e instancabile ricerca, al roveto ardente dell’Assoluto, al mistero del vivere e del morire. Un gioco di spazi interrotti da linee di luce, di vibrazioni e dissolvenze, di geometrie, che sconfinano nella rarefazione degli orizzonti, per moltiplicarsi in richiami oltre il visibile. Toccano il reale “solo per ridargli la libertà del possibile e, meglio ancora, del fantastico”, sempre Giorgio Calcagno.
È in questo territorio che scaturisce quel silenzio espressivo, sussurrato, interpretato da segni che sfuggono all’identificazione dell’homo sapiens, per affidarsi alle parole del cuore, ai soprassalti dell’anima. Un’assenza di rumori e distrazioni a difesa delle sue esplorazioni di enteronauta che ha scelto di scendere nel nocciolo duro dell’esistenza per incontrare l’Invisibile, consapevole che “quanto si vede, non è mai quanto c’è dentro, perché la vera realtà è sempre nascosta”, come la stessa Anna ha ricordato.
Questo sentiero luminoso, dove le vibrazioni cromatiche producono poesia e musica, è affollato di deviazioni e di stagioni che costruiscono “le stanze” del “castello incantato” di questo coinvolgente e suggestivo libro. A cominciare da “I mille volti dell’arte” che, in una piena libertà di comporre e scomporre il mondo e gli oggetti, raccontano sensazioni, emozioni, incontri, tradotti in istantanee, all’insegna di quella leggerezza che non è mai improvvisazione, ma incanto di fronte a un violoncello, al passo di danza di una ballerina, alla “giocosità circense” di un clown, alle gocce di pioggia che diventano suoni e parole.
C’è una voluta evanescenza, sottolineata da colori tenui, tratti rapidi, simboli, nella “stanza” dedicata all’“Animo femminile”, che evoca la complessità del pianeta donna, la sua imperscrutabile, segreta identità, il suo genio. Ma anche una felice capacità di raffigurarne l’avvolgente sensualità, l’eleganza delle forme di un corpo predisposto a dare la vita che trova nella “Maternità” quella sacralità dolcissima che fa di ogni donna una potenziale “madonna”.
C’è quella propensione a trasformare il sogno in realtà e la realtà in sogno, grazie alla “determinazione e volontà” che generazioni femminili hanno affinato, nell’esercizio quotidiano dell’amore e della speranza.
La fede. La dimensione dell’Oltre, come memoria e ricerca, attraversa tutta l’opera di Anna Branciari. Cresciuta in una delle regioni italiane che respira, nei borghi e nelle colline, l’esperienza religiosa e mistica di un passato, rimasto impigliato in celebri monasteri, santuari, basiliche, ha assorbito il sentimento di una Presenza che salda il cielo alla terra. E lo ha ritrovato, questo sentimento, nell’angolo rupestre di terra piemontese, dove è giunta giovane insegnante, nella solidità delle montagne e delle chiese, dei campanili, nelle impronte lasciate dai monaci certosini e benedettini. Nella vertigine umana e divina della Sacra di San Michele che domina la Valle di Susa.
Da una felice simbiosi e travaso di spiritualità fra centro e nord Italia, sono nati i suoi soggetti sacri che alternano alla mitezza e semplicità, alla luce trasparente della tradizione pittorica marchigiana, la sobrietà spoglia, la verticalità imponente, i chiaroscuri della tradizione artistica piemontese.
Due mondi complementari, uniti da quella magia che avvolge tutte le opere di Anna Branciari. Legati dall’armonia che emerge da un percorso artistico che è alimentato dall’interiorità inquieta, sempre in movimento, di una donna che ha saputo parlare con la materia per rivelarne la luce che si annida negli anfratti più bui e trasforma persone, oggetti, paesaggi in messaggeri del mondo invisibile che ci circonda, dove “ci sono molte più cose di quelle visibili”, come sta scritto nel Siracide.
Anna Branciari non si è mai stancata di spalancare finestre e porte su quest’universo con il quale conviviamo, ma che spesso non sappiamo cogliere negli squarci di un’eternità che non è domani. È già oggi.
E di questo, mentre navighiamo smarriti, fra i rottami di un mondo andato in frantumi, dobbiamo ringraziarla e beneficiarne.
Mariapia Bonanate